Le gazze sfrecciano tra i tetti e il nespolo, si affacciano al balcone,
si rituffano verso i cornicioni. Assestate sui comignoli, si guardano
intorno con due scatti di testa, sentono il nostro chiasso, e via,
scompaiono alla vista. Le rondini ancora non si vedono (arriveranno a
maggio, dico), ma noi abbiamo inaugurato i picnic in terrazza. Stretti
stretti, in un metro per tre, mangiamo i nostri toast, farciti di
ketchup e maionese. Le regole si sono allentate, alla faccia della
glicemia. I bambini saltellano, danno un morso al pane, si tolgono i
calzini, le braghe, corrono in salotto a prendere i peluches (devono
mangiare anche loro), si sporgono per strappare al nespolo le foglie
grosse, rovesciano i bicchieri dell’acqua. Senza di noi, la corte
sarebbe silenziosa, come se fosse agosto. I francesi escono solo per
fumare, mia madre a quest’ora ha caldo. C’è un cielo…
Il martedì
esco a fare la spesa. Giovanna dice che vado in troppi posti: pane,
carne, giornali e poi il supermercato, se serve in farmacia. Ma hai la
mascherina? Il giornalaio aveva i guanti? Il panettiere? Ti sei
disinfettato le mani? Sul bancomat (pericolo!) è apparso un cartello
che chiede, per cortesia, di non usare lo sgrassatore all’alcool sui
tasti, o altri detergenti, perché ciò potrebbe causare malfunzionamenti.
La via non è deserta: c’è un cane con tre zampe; una tizia in mezzo
alla strada chiacchiera con una signora al secondo piano; gli spazzini
con le giubbe catarifrangenti fumano a gruppi di tre; Giovanni, il
pizzaiolo matto, farfuglia sommesso in uno strettissimo napoletano. La
signora del casolino è sempre più rossa in faccia. Quando le chiedo
qualcosa, qualsiasi cosa (“Mi può dare un paio di polpette?”, “Mi taglia
un etto di prosciutto cotto?”, “Mi incarta due mele?”, “Ha uno
sgrassatore?”), mi risponde sempre “Ah, che bon che xé queo. L’ho assaggiato giusto ieri, me lo saria finito”.
A
casa appoggio sporte e sportine sul pianerottolo. Io e Giovanna abbiamo
visioni che in parte discostano su come affrontare le cose che
provengono dall’esterno. Io entrerei con le scarpe, toccherei tutto,
cucinerei appena rientrato senza neppure passare dal bagno. Lei vorrebbe
che mi denudassi, mi disinfettassi, facessi la doccia e bruciassi
vestiti e tutta la spesa con il lanciafiamme, non senza averci prima
versato sopra un litro di alcool denaturato, che purtroppo al
supermercato è finito da MESI. Ma va bene anche la tua grappa, dice. Per
compromesso, e per salvare la grappa, io entro senza toccare nulla (in
ciabatte), mi lavo le mani cantando la sigla della Pimpa
(dura 40 secondi), metto via i surgelati e le cose da frigo, mi rilavo
le mani (sigla della Pimpa) e abbandono il resto della spesa sulle scale
per almeno sei ore.
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