venerdì 10 aprile 2020

Intervallo (6)

Le gazze sfrecciano tra i tetti e il nespolo, si affacciano al balcone, si rituffano verso i cornicioni. Assestate sui comignoli, si guardano intorno con due scatti di testa, sentono il nostro chiasso, e via, scompaiono alla vista. Le rondini ancora non si vedono (arriveranno a maggio, dico), ma noi abbiamo inaugurato i picnic in terrazza. Stretti stretti, in un metro per tre, mangiamo i nostri toast, farciti di ketchup e maionese. Le regole si sono allentate, alla faccia della glicemia. I bambini saltellano, danno un morso al pane, si tolgono i calzini, le braghe, corrono in salotto a prendere i peluches (devono mangiare anche loro), si sporgono per strappare al nespolo le foglie grosse, rovesciano i bicchieri dell’acqua. Senza di noi, la corte sarebbe silenziosa, come se fosse agosto. I francesi escono solo per fumare, mia madre a quest’ora ha caldo. C’è un cielo…

Il martedì esco a fare la spesa. Giovanna dice che vado in troppi posti: pane, carne, giornali e poi il supermercato, se serve in farmacia. Ma hai la mascherina? Il giornalaio aveva i guanti? Il panettiere? Ti sei disinfettato le mani? Sul bancomat (pericolo!)  è apparso un cartello che chiede, per cortesia, di non usare lo sgrassatore all’alcool sui tasti, o altri detergenti, perché ciò potrebbe causare malfunzionamenti. La via non è deserta: c’è un cane con tre zampe; una tizia in mezzo alla strada chiacchiera con una signora al secondo piano; gli spazzini con le giubbe catarifrangenti fumano a gruppi di tre; Giovanni, il pizzaiolo matto, farfuglia sommesso in uno strettissimo napoletano. La signora del casolino è sempre più rossa in faccia. Quando le chiedo qualcosa, qualsiasi cosa (“Mi può dare un paio di polpette?”, “Mi taglia un etto di prosciutto cotto?”, “Mi incarta due mele?”, “Ha uno sgrassatore?”), mi risponde sempre “Ah, che bon che xé queo. L’ho assaggiato giusto ieri, me lo saria finito”.

A casa appoggio sporte e sportine sul pianerottolo. Io e Giovanna abbiamo visioni che in parte discostano su come affrontare le cose che provengono dall’esterno. Io entrerei con le scarpe, toccherei tutto, cucinerei appena rientrato senza neppure passare dal bagno. Lei vorrebbe che mi denudassi, mi disinfettassi, facessi la doccia e bruciassi vestiti e tutta la spesa con il lanciafiamme, non senza averci prima versato sopra un litro di alcool denaturato, che purtroppo al supermercato è finito da MESI. Ma va bene anche la tua grappa, dice. Per compromesso, e per salvare la grappa, io entro senza toccare nulla (in ciabatte), mi lavo le mani cantando la sigla della Pimpa  (dura 40 secondi), metto via i surgelati e le cose da frigo, mi rilavo le mani (sigla della Pimpa) e abbandono il resto della spesa sulle scale per almeno sei ore.

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