venerdì 8 maggio 2020

Fase 2 (1): La festa della mamma

La fase due ci ha preso di sorpresa, non eravamo pronti, le rondini, i profumi, i pollini, l’azzurro cobalto di un cielo assurdo. Ci siamo lasciati prendere la mano, e adesso abbiamo mascherine appese ovunque, di tutti i tipi, chirurgiche, con tessuto africano, FFP2, con un pattern a bicicletta, azzurre, bianche a puntini, sporche di mascara, appartenenti all’Imperatore, incluse in questa classificazione, che da lontano sembrano mosche... Il farmacista afferma che si possono usare più volte, basta disinfettarle e metterle all’aria; qualcuno dice che il sole è sufficiente; i più puntigliosi le attaccano al coperchio di una scatola piena per metà di alcool, in modo che i fumi uccidano ogni forma di vita. Io so solo che il grado di sbattimento di queste procedure non riesce a superare la percezione del rischio e preferisco dedicare la mia già poca attenzione a debellare le formiche che di notte infestano la cucina, a persuadere Guido che deve fare i compiti, o a cercare di tenere a bada mia madre.

Ecco, mia madre, parliamone.

La quarantena le ha solo impedito di andare dal parrucchiere, perché era chiuso, ma, ad ottant’anni appena compiuti, mia madre ha deciso che il virus non è del tutto un suo problema, un po’ come l’anno scorso, quando si era fratturata l’acetabolo e il medico le aveva imposto di stare ferma immobile. La trovavamo sulla scala telescopica a sistemare le tende.

Poi un giorno si è svegliata con il raffreddore e ha sublimato il panico da Covid telefonando a tutti i numeri verdi a disposizione, compreso quello di Netflix che non si sentiva molto bene pure lui. Quando ha capito che era solo allergia ha ripreso esattamente da dove aveva interrotto.

Di mattina mia madre ha un appuntamento fisso con Ada. Le due se la intendono. Giovanna dice che si assomigliano; io nego, più per scaramanzia che per vera convinzione. Dopo colazione la Bambina va in terrazza con il suo sgabello, ci sale sopra neanche fosse allo Speakers’ corner e urla a squarciagola (è proprio il caso di dirlo) “Nooonnnaaaaaa”. La nonna arriva sempre. Forse ha perso l’uso della prospettiva, perché le sembra che la Bambina sia in procinto di buttarsi giù, anche se è a due metri dal bordo del terrazzo, e allora inizia ad urlare “Aleeeeee”. Io sono in salotto che lavoro, o che tento di fare inglese con Guido: non ho nessuna intenzione di risponderle e allora grido “Giovaaaannnaaaaaaaa”, che in quel momento, però, sta lavorando e dice “Che c’èeeeeee!?”. Allora interviene il vicino, che era dall’altra parte di casa sua, ma si sente tirato in causa: “La Bambina! Può stare in terrazza da sola?”. Allora Giovanna risponde: “Aleeeeeee, c’è la Bambina in terrazzaaaaaaa!”. “Ma io sto facendo ingleseeeeeee!” rispondo; “E io sono a lezioneeee”…
Al che la bambina cerca di nuovo l’attenzione della nonna e urla “Nonnaaaaaaa”…

Sporgo la testa dalla finestra: saremo circa in dieci ormai affacciati alla corte, compreso il pakistano serafico del terzo piano che ci saluta sbadigliando. Probabilmente l’abbiamo svegliato. “Ada, potresti non urlare a quel modo?”
“Eh, giusto”, dice uno dei vicini.
“Nonnaaaaa” riprende la Bambina, come se non avessi parlato, “Lo sai che Nebulino si è evolto in Solgaleo?”
Evoluto” fa il pakistano, non senza un certo puntiglio, “Si dice evoluto”.
“Ma di cosa sta parlando?”, risponde mia madre.
“Dei Pokemon, grandma”, urla Guido da dietro al libro: “Attacco rapido!” e salta sul tavolo con entrambi i piedi, il cappello da baseball calato sugli occhi.
E Giovanna: “Ma scusate, vanno bene i Pokemon per Ada? Non è troppo piccola?”
“Prof.”, risponde una voce dall’Ipad, “Ma ci sono Pokemon nei Promessi Sposi?!”.

Questa fase due, non so voi. Sarei già un po’ stanco.

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