sabato 19 settembre 2020

Tutto a posto (3)

 Le luci del giardino illuminano il verde tenero delle foglie nuove; la siepe si sporge, protende i rami verso l’alto, nel tentativo di liberarsi da una parallelepipedità sgraziata. Arriverà il giardiniere a pareggiare le altezze, le tempeste spargeranno le foglie, ma intanto l’estate calante sospinge ancora i rami come sospinge a terra le mie energie, gioca con il mio ciclo circadiano, gonfia le occhiaie.

Il primo giorno di scuola mi sveglio con la schiena in sciopero. Rigiro le gambe, sollevo i fianchi, ma ogni mio movimento è quello di un cetaceo che tenti di rituffarsi in mare dopo essersi svegliato sulla battigia. E c'è bassa marea. “Dicloreum!”, urlo col poco fiato a disposizione, “La mia collezione di Asterix per un Dicloreum!”.
Ottengo solo che la Bambina si lanci sul lettone a farmi le capriole sulla pancia, finché stare fermo a subire gli schiacciamenti non diventa più doloroso di alzarmi.
“Cavoli”, dice Giovanna.
“No, dai, non è niente”, rispondo, rigido come uno stoccafisso, inclinato ad angolo retto, con la schiena parallela al pavimento.
“Non parlo della tua schiena”.
 
Mezz'ora prima che la scuola inizi veniamo a sapere che un genitore di un compagno di classe di Guido è positivo al tampone. Panico in chat. I genitori impazziscono. Metà bambini rimane a casa perché si erano incontrati al parco, ma tutta la giornata è un continuo chiedere informazioni. Un giornalista lo viene a sapere ed escono i servizi sulle tv locali. Caccia a chi ha fatto la spia. [...]
 
Noi – stranamente – al parco non c’eravamo, un caso fortuito di appuntamenti in sovrapposizione, ma nel frattempo abbiamo un problema altrettanto grave, se non di più: Ada non ha nessuna intenzione di indossare i pantaloni. “Non voglio i pantaloni. Voglio la gonna”, dice. “Le gonne sono a lavare”. “Voglio la gonna!”, dice. “Non ci sono gonne”. Gli occhi le si incurvano, le labbra si protundono un poco in avanti, poi parte l’urlo, si butta per terra, rotola su sé stessa. “E se…?”, dice Giovanna sottovoce, indicando una gonna appesa allo stendino. La bambina abbassa il tono,  perché ha percepito uno spiraglio, ma il mio grado di diplomazia, in una scala che va da Cavour a Hitler, è ad altezza Gengis Kahn. “No”, dico, “Niente gonna”. Si apre l’inferno del pianto. Un bicchiere si incrina. Dal cortile, tutte le tapparelle si sollevano di colpo al suono di tale sveglia. Guido si chiude in camera a leggere Topolino. Giovanna dice “Bene, io devo andare a lavoro”.
“Cosa?”
“Sono in ritardo!”.
“Non ti sento, c’è una bambina che urla”.
“LA GONNA, VOGLIO LA GONNA!”.
“E datele ‘sta gonna!”, ci intimano dal cortile.
Incrocio le braccia: “No, niente gonna”.
Ululatissimo.
Giovanna mi fa ciao con la mano e scompare sulle scale.

Cinque minuti e dobbiamo uscire anche noi.
Bene. Molto bene.
 

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