lunedì 14 settembre 2020

Tutto a posto (2)

A un certo punto, non sono sicuro quando, Giovanna ha eliminato le tende. Le avevamo ereditate dall’inquilino precedente in parte, in parte ce le aveva affibbiate mia madre, certi pizzi improbabili che parevano appicciati ai vetri con il patafix. Io odio l’insalata bagnata. Cioè, già non mi piace l’insalata, ma, bagnata, è una cosa insostenibile. So di per certo che quando siamo venuti ad abitare qui avevamo una centrifuga per le verdure: un cilindro di plastica, rosso che poi è finito nella spazzatura durante uno di quei furibondi riordini sotto il segno di Marie Kondo. Poi il giorno dopo mi è arrivato un messaggino dalla Saponificatrice [...]. Il testo si chiudeva con un unicorno. Regole, regolette, sacchetti, sacchettini, merende, orari di ingresso, orari di uscita, mascherine, grande impennata nel consumo di termometri, l’indotto della scuola si allarga. Non sappiamo bene perché il nostro bagno abbia due finestre, o meglio, una finestra e una porta-finestra che danno sul vicolo. Luminoso, è luminoso. Così, per asciugare l’insalata ho un metodo: la infilo tutta in un asciugamano, prendo gli angoli, li chiudo in un fagotto e in balcone roteo il braccio finché mi sembra che la forza centrifuga abbia espulso tutta l’acqua. Devo solo stare attento a non perdere la presa. Alle volte mia madre mi vede dal suo balcone. Non mi chiede neppure cosa sto facendo. Io d’altronde non avrei il fiato per risponderle. Altre volte, invece, vado in bagno molto concentrato perché sto leggendo. Per esempio ho scaricato un’applicazione che mi permette di recuperare tutti i fumetti Marvel a partire dal primo numero dei Fantastici Quattro del 1961; sto tappando i miei buchi culturali, tutte le saghe degli anni Settanta, per esempio adesso sono infoiato con Shang-chi: Master of Kung Fu, certe tavole di Paul Gulacy, roba dalla quale Benjamin Marra, per dirne uno, ha rubato di tutto. Di tutto! Ma non divaghiamo. Mi siedo sulla tazza, finisco la pagina. Mi sento osservato. Alzo gli occhi sulla porta-finestra davanti a me. Gli scuri, naturalmente, sono spalancati. Il dirimpettaio mi sta fissando. “Salve”, dico. “Pazzesco questo Shang-chi”, aggiungo. “Già”, dice lui. Inizia la scuola. Mi sento più o meno così.

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