martedì 4 ottobre 2011

L'insetto nero che mi appare mentre scrivo, stamattina, ha la testa piccola, allungata, e il corpo a forma di foglia, tutto nero, e due antenne corte; e ronza. Spero che non voli. Ho paura che mi salti addosso. Sarà lungo due centimentri. Si è posato sulla tenda, placido, stiracchia le zampe laminose, frastagliate, e non si spaventa se muovo la finestra per farlo uscire. Se penso alle sue zampe, se lo immagino cadermi addosso, dietro al collo, se penso all'insetto che mi cammina sulla pelle, un insetto così grande, mi si scuote tutto il corpo di brividi e una sensazione indecifrabile tra il panico e lo schifo si fa strada nelle ginocchia e nel basso pancia. Vinceranno loro? Tra cento anni, mille, qui non ci sarà questa casa, non ci sarà più questa città, né uomini o macchine, ma solo nespoli e abeti? palme e banani? baobab? e insetti a sciami rigirare negli stessi posti come un'ossessione?

Ma noi? Lasceremo ronzare le nostre fissazioni? Permetteremo ai nostri insetti di posarsi sui nostri tavoli, sul letto, in balcone, tra i vestiti stesi, ad occupare spazio, spazio nostro?

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