Eravamo in due a non fare religione alle medie. Evidentemente, era una cosa strana per il corpo docente, perché diventò anche una domanda all’esame di terza (“Ok, basta con la tesina. Dimmi, adesso: perché non fai religione? Come puoi dichiararti ateo a soli tredici anni? Sai almeno cosa vuol dire agnostico?”). Ma non è questo il punto.
Ogni settimana, appena entrava quella di religione, io e il mio compagno uscivamo dalla classe per andare in biblioteca con la Alboni, una signora molto tranquilla, quasi soporifera, con la fisionomia da pesce chirurgo – gli occhi vicini al naso, la bocca protusa in avanti. Appena la porta si chiudeva dietro di noi, dalla classe iniziava a provenire un suono sordo ma potente, come qualcuno che togliesse la polvere da un tappeto con un battipanni. Non riuscivo a capire da dove provenisse, finché un giorno non ho riaperto la porta. L’insegnante di religione era un misto tra la signorina Rottermeier di Heidi e la Binetti, un alone di grigio fumo la circondava perennemente, come se un’entità malevola e in parte patologica l’avesse presa per favorita. Quando mi affacciai, la vidi scrivere intenta alla lavagna, con lo sguardo fisso e una strana concentrazione nei lineamenti (erano rughe d’espressione quelle che scorgevo sulla fronte? Gocce di sudore sulla tempia come nei manga?), mentre, dietro di lei, i miei compagni, le mie compagne, tutti in piedi come in adunata, facevano all’unisono il gesto dell’ombrello.
Paf.
Non so. Mi è sempre sembrata una metafora del paese.
(continua)
[NOTA DI ALE]
Questo è tutto quel che c'è di pubblicabile nel nuovo invio. Se siete interessati al (poco) altro (e non siete uno dei miei datori di lavoro – ANCHE SOTTO PSEUDONIMO, EH!) potete iscrivervi qui sotto, e poi disiscrivervi, e reiscrivervi ogni volta. Io farei così.
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