Ingrassiamo. Stiamo in casa, l’emergenza. I bambini danno di
matto, saltano sui lampadari, si appendono ai divani. Mangiamo, ma non è facile
ipotizzare i menù, giorno dopo giorno. L’incubo delle lezioni online per Giovanna
si è trasformato nell’incubo correzione dei compiti online. E l’esame di
maturità? Anni che sputo sangue sulla prima prova, e adesso facciamo solo gli
orali?
Il mio lavoro, invece, non si ferma, al massimo si accumula:
e se sfugge una stretta di mano con gli autori, poi, ci attraversa uno strano
imbarazzo, una risatina matta. Vediamoci! Facciamo qualcosa! Troviamoci! Sconfiggiamo
il virus con aperitivi misurati e a numero chiuso! Aaaah, ci voleva proprio
questo spritz, lo dicevo ieri a Filippo che aveva 38 di febbre.
Scusa?
La città è un po’ deserta, un po’ no. Lo era di più la
settimana scorsa, oggi invece per le vie del centro sembra tutto normale, forse
rado per l’assenza degli universitari. Il dentista è agitato perché in Lombardia
hanno chiuso gli studi medici di ogni pratica e tipo. L’ospedale è sotto stress.
Nel tram è tornata la calca, chissà se basterà un distributore di amuchina gel
per fermare i timori: teniamoci a distanza, non ci accalchiamo, ehi, il mio
piede!
I nonni barricati, gli occhi vorticosi per le ore di
maratona televisiva, le percentuali, le terapie intensive, le dirette skype per
vedere i nipoti. I commerciali che sono passati per la zona rossa sono
costretti a prender malattia per non sgravare sui conti delle aziende, le
visite dell’Inps sospese; il comune dimezza la retta della scuola dell’infanzia,
ma le maestre poi chi le paga? Le terme deserte, gli alberghi chiusi, i dipendenti
si prendono ferie forzate e camminano in tondo, come zio Paperone, in preda all’ansia.
I funerali a porte chiuse, si sta nel piazzale della chiesa
ad aspettare le porte che si aprono, la bara che esce, tutti a distanza di
sicurezza. C’è il sole, una piccola aria. Le ultime preghiere dette con le
macchine che passano di sfondo, l’incenso.
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