La prima volta che arriva la telefonata sono le due di notte. Ogni volta che vibra il telefono, il computer ha un’interferenza sullo schermo. Faccio finta di niente.
La seconda volta che mi chiamano (riconosco il numero) è sveglia anche Giovanna perché deve completare il documento del 15 maggio.
“Chi è a quest’ora?” dice.
“Sarà il solito call center”.
“Alle due?!”.
“Chiameranno dall’Asia”, dico, mentre silenzio la vibrazione. “In Corea sono le nove del mattino”.
“Perché ho l’impressione che mi nascondi qualcosa?”.
“No, sul serio, controlla. A Seul sono sette ore di differenza”.
“Dimmi il numero che lo cerco su internet” dice.
“È nascosto”.
“Comodo. Non rispondi?” dice, “Magari è urgente”.
“Alle due di notte?”, dico io. “Sono sicuro che non è nulla”.
“Rispondo io, dammi”.
“No, guarda, ha smesso”.
“Mmmh”.
La terza chiamata viene preceduta da un messaggio.
Sono le tre, tutti dormono. Il messaggio dice solo: “Sudore”.
Allora rispondo: “Sì. Sì”, dico.
“Me l’aspettavo, sì”, dico.
Mi massaggio gli occhi: “Ci vediamo mercoledì, sì”.
L’agenzia è in un palazzo medievale, vicino al municipio. Non ci sono campanelli. La porta si apre da sola appena arrivo. Seguo il corridoio fino alle scale. È tutto buio, tranne che per alcune piccole luci a livello del pavimento. Le scale sono scivolose, in pietra, e seguono un percorso non lineare, procedono prima in un senso, poi in un altro; a un tratto scendono, poi risalgono, poi c’è una scala a chiocciola, stretta, che sembra superare diversi piani. Non ci sono finestre. C’è un odore di umido che proviene dai muri; non un suono, se non quello dei miei passi. Alla fine, dopo una porta di legno, si apre un atrio tutto vetrate che dà sui tetti della città, anche se, a guardarli bene, non sembrano i tetti della città. Più guardo è più mi accorgo che non ci sono punti di riferimento: non si vede il Santo, o il Duomo, non si vede la Torre degli Anziani, non si vede il Palazzo della Ragione, né le piazze, insomma, qualcosa nella geografia non torna.
“Il dottor Sudore la sta aspettando”, mi dice una ragazza spuntata da chissà dove. Ha una mascherina rosa shocking, con un motivo a piccoli orologi dorati.
“Certo, grazie, eccomi”.
“Buongiorno, Alessandro”, mi dice Sudore. Mi aspetta dietro alla scrivania, seduto. Non sembra avere alcuna intenzione di alzarsi, e non è per il virus.
“Prego”, dice. “Tutto bene?”.
Ho caldo dietro alla mascherina, la barba mi prude, penso che me la devo tagliare, mi taglio tutto, penso, arrivo a casa e mi rado, via. Non riesco a pensare ad altro.
La stanza è bianca, spoglia, la scrivania nera. Dietro a Sudore, una parete a vetro.
Mi pulisco le mani con il gel prima di sedermi.
Sudore sorride. “Come sta?” mi chiede.
“Ben…”
“Sbaglio o la sua pelle ha un colorito azzurrino?”
“No, no, è che…”
“Lo sa perché l’ho chiamata, vero?”
“Io…”
“Senta, andiamo al punto, il suo debito di sonno è fuori controllo.”
“Ma è...”
“Si vede qui dai tabulati”, dice mostrandomi delle carte che mi sembrano completamente bianche, “che una volta compensavate con il sonno di sua moglie, giusto? Sua moglie andava a letto presto, e praticamente l’ha mantenuta fino ad adesso. Poi cosa è successo?”
“Sa, la quarantena, i verbali, la dad…”
“Certo, certo, capisco, ma qui il debito deve rientrare”.
“Io…”
“Lo sa vero? Perché se non rientra dovremo iniziare con i pignoramenti.”
“Questo non era…”
“Certo che era scritto nel contratto, guardi qui. Non era neppure nelle righe piccole, vede? Nelle righe piccole mettiamo altro” e ridacchia. “Le do un mese di tempo. Un mese. Poi inizieremo a intervenire. Dovremo prima di tutto pignorarle il tempo dedicato ai giochi, poi quello dedicato alla lettura, poi agiamo sui video, eccetera. Chiaro?”.
“Ma…”
“Non la prenda così. Non è una cosa personale. Un contratto è un contratto. Come dice Filo Sganga, gli affari sono affari.”
“Ecco, se…”
“Bene, adesso mi scusi, ma ho un appuntamento improrogabile.”
“Va bene, ma…”
“Come sa, il tempo è denaro”.
“Sì, ma…”
“La ringrazio molto. Ci risentiamo tra un mese, sì?”
La sedia inizia a muoversi da sola all’indietro. Si ferma solo quando sono fuori dall’ufficio. Vedo Sudore rimpicciolirsi. Ha la mano alzata in un saluto. È fermo. Sono sicuro che sotto la mascherina ride.
Nessun commento:
Posta un commento