sabato 30 maggio 2020

Ritorno alla normalità (1)

Adesso che lavoro di notte non riesco a valutare se la mia vita è migliorata o se procede in un gorgo di delirio, paranoia, allucinazioni, morte, stipsi, dovuto alla privazione di sonno. Il piccolo coniglio rosa di peluche che da qualche settimana mi parla dice che secondo lui sono in una fase di netto miglioramento, ma non so se fidarmi, visto che mi propone anche di passare a una dieta di sole carote e lattuga. A me la lattuga mi fa venire la pelle d’oca, soprattutto per quel che mi è capitato l’altra notte, dopo aver spento il computer. Sistemavo nel frigo le verdure che ci arrivano ogni settimana dal nostro fornitore abituale. Con la coda dell’occhio, sulla lattuga noto una macchia scura e penso: ma guarda sto stronzo che ci porta la verdura mezza marcia, la prossima volta mi sen… e mi blocco perché la macchia si muove: un lumacone lungo un dito gira le antenne e mi fa l’occhiolino. La guardo sprezzante – il mio ruolo da pater familias non mi concede altro –, ma la casalinga dentro di me è già in piedi sul tavolo con un coltellaccio in mano che strilla dal terrore.  “Lasciala, lasciala a me!”, dice il coniglio, che ha voglia di menare le zampe, ma visto che tarda a darmi una mano, corro in balcone con il cespo nella sinistra e con la destra tiro una schicchera al gasteropode che vola giù, con un rumore a metà tra l’infogliamento e lo spiaccichìo. “Ma sei matto?”, mi dice Giovanna a letto, “Sei un nazista!” dice, mezza assonnata. “O lei o io”, rispondo. “Povera lumaca”, dice lei e torna a dormire. La mattina dopo mi chiede se è vero che avevo ucciso una lumaca o se se l’era sognato. “Non l’ho uccisa, l’ho solo buttata giù dal balcone”. “L’hai uccisa, quindi”. “Le lumache cadono sempre in piedi”. “Sì, certo e hanno nove vite. Aspetta che lo sappia Ada”. “No, non dirglielo, eh?”. E aggiungo: “Glielo dico io. Dopo. Adesso vado al lavoro. Per pranzo se vuoi ci sono le zucchine”. Lei impallidisce “Non dire quella parola”. “Cosa, zucchine?” “Shhh!” mi fa. Si guarda intorno, i bambini stanno giocando con il kapla, non sembrano aver sentito. “Zitto”, mi dice, “Se ti sentono quelli, poi vogliono la pasta con le zucchine”. “Cosa?” “Sai quanto ci metto a farla?” “Ma”. “Non. Parlare. Di. Zucchine”. “E tu non dire nulla della lumaca” aggiungo. Quando torno a casa nel primo pomeriggio, sul tavolo ci sono i resti della pasta con le zucchine, i bambini guardano i pokemon, Giovanna stremata sul divano letto. Appena entro, la Bambina chiede a Guido di fermare i cartoni e viene verso di me. Penso che voglia salutarmi e invece è uno dei suoi raid. Di solito li fa mentre facciamo lezione. Quando Giovanna insegna, appena sono distratto, zampetta prima piano, poi sempre più veloce verso la cucina, apre la porta, la richiude di scatto e salta addosso a lei, che mi urla: “La Bambina è quiii!”. A me è successo solo una volta, stavo parlando di come affrontare la sceneggiatura di un fumetto drammatico quando si spalanca la porta ed entrano i due. “Ho cercato di fermarla, ma…”, dice Guido. E la Bambina “Papà, Guido non vuole che io rutti quando guardiamo i cartoni”. “Ottimo, non ho silenziato la lezione, vero?” “No prof”…  Ma torniamo a noi. Entro in casa, la Bambina mi viene incontro e mi dice “Regola numero 1: non si uccidono le lumache. Regola numero 2: non si uccidono le formiche. Regola numero 3: i lupi non esistono”. Quest’ultima è un residuo di quando a tre anni aveva paura del lupo di Cappuccetto Rosso. “Sei stata tu a dirglielo?” chiedo a Giovanna. "No, giuro". "E allora come fa a saperlo?". “Le voci corrono” dice lei con la faccia sul cuscino. Guardo il coniglio.

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