domenica 27 settembre 2020

Portello violento (1)

Basta che le temperature scendano appena, qualche goccia di pioggia in più e subito scatta il Raffreddore-dei-bambini. Nasi che colano, moccio giallo, soluzione fisiologica, aerosol, brivido, terrore, ma soprattutto raccapriccio: le regole anti-covid aleggiano sulle scuole a cerchi sempre più stretti. Di notte, enormi tamponi nasali provenienti da una base sotterranea minacciano Neo-padova, e noi, con robottoni a forma di tachipirina – inefficaci, dal design fatiscente, senza scudi –, cerchiamo di bloccarli. Mascherine fotoniche! Amuchina spaziale! Distanziamento a razzo!
 
Tutti dormono, ma nel vicolo un gruppo di ragazzi ha appena finito di vedere la partita del Milan. Sono al piano terra, la finestra direttamente sulla strada. È ancora abbastanza caldo. Mi affaccio per chiudere gli scuri. “Cazzo guardi?”. Ci sono due tipetti che si avvicinano alla finestra dei ragazzi, uno ha i capelli ricci tinti di biondo. “Cazzo guardi”, dice.
“Niente” risponde uno dalla finestra, “Sono a casa mia, non guardo niente”.
“E allora torna dentro, terrone di merda”.
“Oh, calmo, eh”.
“Cazzo guardi terrone di merda, torna a casa tua”.
Alla finestra si affacciano anche l’amico – più magro, barbetta curata, maglietta azzurra – e la fidanzata di uno dei due. I due tipetti sono in mezzo alla strada, “Ti scopo in bocca se non torni dentro, terrone”.
Barbetta esce nel vicolo. “Daniele, torna dentro”, dice la ragazza.
“Oh, che cazzo vuoi”, dice Daniele.
Un tipetto si avvicina, l’altro lo tiene: “Scopo tua madre, terrone, torna dentro”.
“Chiamo la polizia”, dice la ragazza.
“Guarda che non ci metto niente a sfondarti di botte” dice Daniele.
“Tiro fuori il coltello, terrone. Ti taglio e ti scopo in bocca”.
La scena si fa concitata, dall’alto non vedo bene. Parte qualche pugno, qualche calcio. I due tipetti iniziano la ritirata, “Terroni di merda!”
Daniele dice “Resta qui, resta qui con me ancora un attimo, dai”.
Dal fondo del vicolo un urlo: “Ho chiamato la polizia! Smettetela!”.
Ho il cellulare che si sta accendendo (è un diesel) e sto aspettando anch'io di fare il 113.
I tipetti sono usciti dal vicolo, Daniele li insegue. Mi sporgo: ricominciano a tirarsi qualche pugno, ma non vedo bene. La ragazza urla di tornare in casa, l’amico corre in aiuto di Daniele. I tipetti scappano.
 
Dopo dieci minuti arrivano due volanti, percorrono il vicolo, si fermano davanti alla finestra dei ragazzi. “Che succede?” chiede dal finestrino l’agente che non guida. Daniele racconta la sua storia, parlano a bassa voce, sento male. Descrivono i tipetti, uno dice che i due erano marocchini, la fidanzata dice che erano pakistani. La volante se ne va. Chiudo gli scuri. La serata è finita. Mi metto a letto.
 
Prima di addormentarmi sento qualcuno che urla. Credo che sia una ragazza. La voce è lontana, non si sente bene. Probabile che provenga dal bar all'angolo della strada. La ragazza continua a gridare qualcosa.
Ricominciamo.

sabato 19 settembre 2020

Tutto a posto (3)

 Le luci del giardino illuminano il verde tenero delle foglie nuove; la siepe si sporge, protende i rami verso l’alto, nel tentativo di liberarsi da una parallelepipedità sgraziata. Arriverà il giardiniere a pareggiare le altezze, le tempeste spargeranno le foglie, ma intanto l’estate calante sospinge ancora i rami come sospinge a terra le mie energie, gioca con il mio ciclo circadiano, gonfia le occhiaie.

Il primo giorno di scuola mi sveglio con la schiena in sciopero. Rigiro le gambe, sollevo i fianchi, ma ogni mio movimento è quello di un cetaceo che tenti di rituffarsi in mare dopo essersi svegliato sulla battigia. E c'è bassa marea. “Dicloreum!”, urlo col poco fiato a disposizione, “La mia collezione di Asterix per un Dicloreum!”.
Ottengo solo che la Bambina si lanci sul lettone a farmi le capriole sulla pancia, finché stare fermo a subire gli schiacciamenti non diventa più doloroso di alzarmi.
“Cavoli”, dice Giovanna.
“No, dai, non è niente”, rispondo, rigido come uno stoccafisso, inclinato ad angolo retto, con la schiena parallela al pavimento.
“Non parlo della tua schiena”.
 
Mezz'ora prima che la scuola inizi veniamo a sapere che un genitore di un compagno di classe di Guido è positivo al tampone. Panico in chat. I genitori impazziscono. Metà bambini rimane a casa perché si erano incontrati al parco, ma tutta la giornata è un continuo chiedere informazioni. Un giornalista lo viene a sapere ed escono i servizi sulle tv locali. Caccia a chi ha fatto la spia. [...]
 
Noi – stranamente – al parco non c’eravamo, un caso fortuito di appuntamenti in sovrapposizione, ma nel frattempo abbiamo un problema altrettanto grave, se non di più: Ada non ha nessuna intenzione di indossare i pantaloni. “Non voglio i pantaloni. Voglio la gonna”, dice. “Le gonne sono a lavare”. “Voglio la gonna!”, dice. “Non ci sono gonne”. Gli occhi le si incurvano, le labbra si protundono un poco in avanti, poi parte l’urlo, si butta per terra, rotola su sé stessa. “E se…?”, dice Giovanna sottovoce, indicando una gonna appesa allo stendino. La bambina abbassa il tono,  perché ha percepito uno spiraglio, ma il mio grado di diplomazia, in una scala che va da Cavour a Hitler, è ad altezza Gengis Kahn. “No”, dico, “Niente gonna”. Si apre l’inferno del pianto. Un bicchiere si incrina. Dal cortile, tutte le tapparelle si sollevano di colpo al suono di tale sveglia. Guido si chiude in camera a leggere Topolino. Giovanna dice “Bene, io devo andare a lavoro”.
“Cosa?”
“Sono in ritardo!”.
“Non ti sento, c’è una bambina che urla”.
“LA GONNA, VOGLIO LA GONNA!”.
“E datele ‘sta gonna!”, ci intimano dal cortile.
Incrocio le braccia: “No, niente gonna”.
Ululatissimo.
Giovanna mi fa ciao con la mano e scompare sulle scale.

Cinque minuti e dobbiamo uscire anche noi.
Bene. Molto bene.
 

lunedì 14 settembre 2020

Tutto a posto (2)

A un certo punto, non sono sicuro quando, Giovanna ha eliminato le tende. Le avevamo ereditate dall’inquilino precedente in parte, in parte ce le aveva affibbiate mia madre, certi pizzi improbabili che parevano appicciati ai vetri con il patafix. Io odio l’insalata bagnata. Cioè, già non mi piace l’insalata, ma, bagnata, è una cosa insostenibile. So di per certo che quando siamo venuti ad abitare qui avevamo una centrifuga per le verdure: un cilindro di plastica, rosso che poi è finito nella spazzatura durante uno di quei furibondi riordini sotto il segno di Marie Kondo. Poi il giorno dopo mi è arrivato un messaggino dalla Saponificatrice [...]. Il testo si chiudeva con un unicorno. Regole, regolette, sacchetti, sacchettini, merende, orari di ingresso, orari di uscita, mascherine, grande impennata nel consumo di termometri, l’indotto della scuola si allarga. Non sappiamo bene perché il nostro bagno abbia due finestre, o meglio, una finestra e una porta-finestra che danno sul vicolo. Luminoso, è luminoso. Così, per asciugare l’insalata ho un metodo: la infilo tutta in un asciugamano, prendo gli angoli, li chiudo in un fagotto e in balcone roteo il braccio finché mi sembra che la forza centrifuga abbia espulso tutta l’acqua. Devo solo stare attento a non perdere la presa. Alle volte mia madre mi vede dal suo balcone. Non mi chiede neppure cosa sto facendo. Io d’altronde non avrei il fiato per risponderle. Altre volte, invece, vado in bagno molto concentrato perché sto leggendo. Per esempio ho scaricato un’applicazione che mi permette di recuperare tutti i fumetti Marvel a partire dal primo numero dei Fantastici Quattro del 1961; sto tappando i miei buchi culturali, tutte le saghe degli anni Settanta, per esempio adesso sono infoiato con Shang-chi: Master of Kung Fu, certe tavole di Paul Gulacy, roba dalla quale Benjamin Marra, per dirne uno, ha rubato di tutto. Di tutto! Ma non divaghiamo. Mi siedo sulla tazza, finisco la pagina. Mi sento osservato. Alzo gli occhi sulla porta-finestra davanti a me. Gli scuri, naturalmente, sono spalancati. Il dirimpettaio mi sta fissando. “Salve”, dico. “Pazzesco questo Shang-chi”, aggiungo. “Già”, dice lui. Inizia la scuola. Mi sento più o meno così.

domenica 6 settembre 2020

Tutto a posto (1)

La zanzara di fine estate, rabbiosa, attende le sere di settembre china nelle pozze delle grondaie o nei portavasi dove alcuni residui umidi sono avanzati dal temporale, delirante, pronta a scattare non appena un varco si apra nelle finestre degli incauti che hanno approfittato del clima per spegnere l’aria condizionata, e, in preda alla vertigine del ronzio, prostrata dalle ferie, quando avrebbe potuto dare il meglio di sé, ma ha dovuto soccombere contro i vetri gelidi dei salotti, delle camere da letto, cadendo poi in un sonno mattutino disturbato dagli incubi del sudore umano, dell’anidride carbonica corroborante, smanaccia contro gomiti, nel retro delle ginocchia, oppure nei padiglioni auricolari, con un’incautela che non si capisce se è la sua condanna o.

Quando Giovanna torna a casa, io e Ada stiamo leggendo I Puffi neri. Mi interrompo per dirle che mi sono licenziato e Ada sbuffa: “Papà, mi leggi?”. La storia è questa: una mosca punge un puffo e lo trasforma in una versione di sé stesso nera, incazzosa e lessicalmente più povera che dice solo “Gnap!”. Il puffo nero morsica un altro puffo che si trasforma a sua volta, e via così.
Giovanna spalanca gli occhi: “Cosa hai fatto?”
“Mi sono licenziato”
“Ancora?”
“Be’, era da più di un anno che non succedeva”, rispondo, mentre Ada spinge il libro sotto al naso.
“Cos’è successo?”.
“Mi sono incazzato”.
“Gnap!”, dice Ada.




 

[Versione integrale solo per chi segue la newsletter, non lo faccio apposta. Giovanna dice che sono ossessionato: è vero].

 


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venerdì 28 agosto 2020

Rientro (2)

Attendiamo la riapertura delle scuole come l’arrivo del meteorite che sfiora la terra a 20.000 km di distanza, o come la cometa che appare nei cieli ogni duecento anni portando sventura e un’inedita conformazione celeste, l’eclisse di sole da guardare con i vetri oscurati per non bruciarsi la retina e un’invasione di fosfeni. Facciamo finta che sia un evento lontano, ma di notte la consapevolezza di qualcosa ci brucia le piante dei piedi e i bordi delle orecchie (o forse sono le zanzare?). I banchi con le ruote, il distanziamento, la lezione con la mascherina, tutti a dire, come per scaramanzia, eppure seri, con l’aria di affermare una cosa ineluttabile “Tanto chiuderanno dopo pochi giorni” – ah il grande sviluppo dei gesti apotropaici, il capogiro di timore e desiderio e realtà…  

La Furia Bionda (aka La Strega del Nord-Est aka...

[Versione integrale solo per chi segue la newsletter, scusatemi. La invierò manualmente a chi si iscriverà entro venerdì prossimo e a chiunque me la richieda via mail. Buona fine di agosto].

 


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venerdì 21 agosto 2020

Rientro (1)

 

Striscia nel buio come un pesciolino d’argento la fine delle ferie, la consapevolezza dello spazio che si chiude, come il temporale improvviso che ribalta la tovaglia, la pressa che accartoccia la spazzatura ed espelle il percolato. Se Giovanna si addormenta presto mi dedico ai film horror: sarà il retaggio delle notti su Italia1 negli anni Novanta, o l’appressarsi del rientro, o il contrasto dell’estate con qualcosa di imminente. Il dentista mi racconta che il lavoro, le urgenze, sono state la sua salvezza nel lockdown: nonostante il giardino, nonostante il figlio non fosse molesto – parole sue –, trovava conforto nel devitalizzare qualche molare. “Ma sai quanti denti scheggiati? Un aumento incredibile di denti scheggiati”, dice. La notte mi distendo con il tablet sulla pancia e guardo il catalogo Netflix, nessun titolo è troppo trash, nessuna storia troppo balzana, ma se sbaglio il registro del film mi spavento troppo, spengo tutto, i rumori si amplificano, sobbalzo se i bambini parlano nel sonno. Poi una notte, verso l’una e mezza, ho appena finito di vedere tutta una roba splatter, e suonano al campanello. Di solito non ci faccio caso, abitiamo vicino a un locale, capita che qualcuno ci suoni per scherzo e scappi via. Ma suonano ancora. Giovanna si alza di scatto, va sulle scale mentre io rispondo al citofono. “La finestra delle scale è aperta”, mi dice. “Chi è?”, chiedo. “Sei cinese?”, mi risponde una voce al citofono. “Chiamo la polizia!” urla Giovanna dalle scale. “Sei cinese?”, dice la voce. “Ma che ora è per suonare i campanelli?” dico. “CHIAMO LA POLIZIA!” ripete Giovanna. Il citofono è muto. Chiudo la finestra sulle scale, vado in bagno.

“Hai sentito?” dice Giovanna. “Hanno suonato di nuovo”. “Ma no”, rispondo. E invece suonano ancora. “Chi è?” dico. “Mi hanno dato questo indirizzo”, dice la voce di prima. “C’è un cinese qui?”. “No”, rispondo. “Ma le sembra l’ora di suonare i campanelli?”
“Eh, vabe’” dice.

Eh, vabe’, ecco.


Bonus: Lista dei film
The conjuring II, ah le case stregate
The Bar, pochi soldi poche idee tanto olio
Mandy, avrei trovato più movimentata una conferenza sullo sporco tra le dita dei piedi nell'antica Roma
Ghostland, nel boschetto della mia fantasia
The Invisible man, caro stalker ti scrivo
It chapter II, come quando vedi tua nonna nuda per sbaglio


domenica 28 giugno 2020

F(r)iction

Le mura grosse ci mantengono al fresco, almeno in questa fase dell’estate. Meno male, perché si avvicinano i concorsi universitari e ogni ricercatore, dottorando o associato con velleità di carriera deve caricare entro la seconda settimana di luglio tutto ciò che ha pubblicato e sta per pubblicare; e vuoi non farlo proprio l’ultimo giorno disponibile, quando la rete è intasata e il sito del Miur si impalla? [...] E vai quindi di madonne, dii, animali domestici, e altre forme di incarnazione divina. [...] Come Alice, so dare un sacco di ottimi consigli che non seguo. Mia sorella dice che applico la tecnica della spora: resisto a condizioni avverse ignorandole, mi ritaglio una nicchia dalla quale prolifero; vivo la mia contraddizione per quello che è: un modo, non tra i peggiori, di campare.

[Versione integrale solo per chi segue la newsletter. La invierò manualmente ai milioni di lettori che si iscriveranno entro venerdì prossimo (o giù di lì). Aloha].

 


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